Cosa significa fare fundraising

Fundraising per il no profit: 5 attività fondamentali (che quasi nessuno fa)

Abbiamo già parlato di perché fare fundraising e di come farlo bene. Ora vorrei entrare un po’ più nel dettaglio di cosa significa fare fundraising, per un ente no profit, dal punto di vista operativo e organizzativo: quali sono le 5 attività fondamentali da fare sempre. E che, purtroppo, ben pochi enti fanno.

Prima di iniziare, voglio ribadire ancora una volta un concetto fondamentale: fare fundraising non significa semplicemente raccogliere denaro.
Il fundraising è uno strumento molto potente che enti e associazioni hanno per consolidare la propria reputazione e il proprio nome, per comunicare ed educare la comunità riguardo ai propri progetti, coinvolgerla in modo attivo e fidelizzarla. Non dimentichiamo che i progetti di un ente no profit sono sempre legati a cause sociali, artistiche, culturali, e che quindi i cittadini avrebbero tutto l’interesse a partecipare! Uso il condizionale perché, come in ogni cosa, per partecipare le persone si devono sentire coinvolte emotivamente e devono capire che il loro contributo è determinante per la buona riuscita del progetto. Non si può obbligare nessuno a fare una donazione, ovviamente! Bisogna convincerlo e persuaderlo.

Le 5 principali attività per organizzare una raccolta fondi

Ecco quindi che ho individuato 5 attività fondamentali che bisognerebbe sempre considerare in un progetto di fundraising. In realtà, come vedremo, sono attività fondamentali per qualsiasi organizzazione, anche a prescindere dall’attività di raccolta fondi.

  • conoscere la propria identità, i propri valori, la propria missione, i propri obiettivi
  • comunicare identità, valori, missione e obiettivi in modo organico e coerente al di fuori dell’ente no profit
  • avere dei processi standard di acquisizione delle donazioni e dei dati dei donatori
  • avere delle modalità standard di organizzazione degli eventi di fundraising
  • avere un adeguato follow-up dei contatti, nuovi e vecchi

Vediamo nel dettaglio queste attività

1. Conoscere la propria identità, i propri valori, la propria missione, i propri obiettivi

Sembra una cosa semplice, ma spessissimo non lo è. Soprattutto per associazioni piccole, dove chi ne fa parte magari è entrato perché l’amico ci faceva volontariato e non perché davvero motivato dalla causa e dagli obiettivi. Oppure per associazioni con tante sedi, in cui la comunicazione non è efficace. Ma è assolutamente fondamentale avere un’identità e una missione chiare, valori condivisi, e obiettivi determinati. E tutti quelli che lavorano all’interno dell’ente no profit devono conoscerli e condividerli. Per farlo, io consiglio sempre di fare almeno una riunione generale, magari a gennaio, in cui si discutono gli obiettivi dell’anno. Ma dev’essere una riunione vera, a cui tutti partecipano! Se non si è mai fatta, durante la prima riunione dell’ente no profit bisognerà discutere e definire identità, valori e missione e metterli per iscritto. A questo punto, poi, il documento che li contiene andrà condiviso con tutti i soci.

2. Comunicare identità, valori, missione e obiettivi in modo organico e coerente al di fuori dell’ente no profit

Una volta identificati identità, valori, missione e obiettivi, l’ente no profit dovrà comunicarli in modo organico e coerente. Questo significa che tutti quelli che ne fanno parte, dal presidente all’ultimo dei soci, dovranno avere la chiara percezione di quali sono, e avere tutti gli strumenti per comunicarli al di fuori. Ad amici e parenti, innanzitutto, e poi – ovviamente – durante gli eventi di fundraising.

Questo implica un importante lavoro di progettazione dell’identità visiva, che vada dalla definizione del logo e dell’eventuale payoff (lo slogan che accompagna e definisce le associazioni, per esempio “Unite for Children” di Unicef). E, a cascata, la progettazione di tutto il materiale di comunicazione, dal sito ai biglietti da visita, alle brochure, ai banner, ai gadget. Ovviamente, è fondamentale che tutto sia coerente e che tutti possano accedere a questo materiale nel momento in cui decidano di organizzare un evento di fundraising. Bisogna condividere le linee guida su come usare il logo e quale sia il tono di voce da tenere nella comunicazione (giocoso, istituzionale, aggressivo, provocatorio…), e tutti le devono adottare.

3. Avere dei processi standard di acquisizione delle donazioni e dei dati dei donatori

Il tasto più dolente per gli enti no profit. Che devono però mettersi in testa che il primo e vero patrimonio non sono i soldi raccolti, ma le persone che credono in loro. Non ho usato la parola “patrimonio” a caso: le persone sono davvero un valore inestimabile, per un’associazione o una fondazione. E quindi vanno gestite, conservate e protette come la cosa più preziosa. Ovviamente, non sto parlando “fisicamente” delle persone, ma dei loro dati di contatto, dei loro interessi, delle loro motivazioni a partecipare alla vita dell’ente. La cosa ideale sarebbe avere un sistema di CRM (Customer Relationship Management). Ovvero una piattaforma digitale integrata che funziona come database sofisticato dei contatti, e che comunica con altre piattaforme digitali come i social media o quelle che servono per l’invio delle newsletter. Ci sono piattaforme di CRM totalmente gratuite per gli enti no profit, quindi nessun costo! Solamente un grande aiuto nella gestione della relazione con i propri donatori.

Ho menzionato di sfuggita le newsletter: un modo molto efficace per mantenere caldo l’interesse delle persone che si sono avvicinate spontaneamente alla nostra associazione, lasciandoci i loro dati. Ci sono molti altri modi per mantenere il contatto con loro, informandole degli eventi di fundraising, offrendo loro di partecipare a corsi formativi o coinvolgendole in tutte le iniziative che svolgiamo, online e offline.

Tutte queste attività, ovviamente, implicano delle attività basilari: la raccolta dei loro dati e l’inserimento in un database organizzato. Bisogna quindi strutturare dei sistemi fisici e digitali per raccogliere i dati delle persone interessate a ricevere materiale informativo dall’associazione. Nel primo caso basta un modulo stampato da portare a ogni evento. Il secondo caso è un po’ più complesso, ma assolutamente realizzabile a costi contenuti. Non bisogna dimenticare che i dati personali dei donatori dovranno essere conservati in modo sicuro e per usarli bisognerà chiedere la loro autorizzazione, come da normativa sulla privacy.

4. Avere delle modalità standard di organizzazione degli eventi di fundraising

La standardizzazione è un problema condiviso da enti no profit e piccole aziende. Quando non ci sono strutture organizzative fisse è molto facile che manchi il coordinamento. E quindi che manchino omogeneità e coerenza. Ma queste due caratteristiche sono assolutamente fondamentali quando si parla di strategie di branding. Se un ente è poco conosciuto, dovrà fare di tutto per rendere la propria comunicazione unica e memorabile.
Unica, perché ovunque si trovi il donatore, in qualsiasi parte d’Italia e del mondo, online e offline, abbia la chiara percezione di essere sempre davanti allo stesso ente.
memorabile, ovviamente, degna di essere ricordata. Come facevi per imparare una poesia a memoria? La ripetevi, sempre uguale, molte volte. La ripetizione è uno dei segreti della memoria. Per questo è così importante che tutti gli eventi di fundraising abbiano la stessa struttura e la stessa immagine coordinata:

  1. perché vengano ricordati più facilmente
  2. perché anche il brand dell’associazione venga ricordato più facilmente
  3. perché il partecipante abbia una chiara memoria dell’evento, e (se è già donatore) sia più facile per lui richiamare alla mente l’esperienza avuta la prima volta.

5. Avere un adeguato follow-up dei contatti, nuovi e vecchi

Siamo arrivati alla fine del nostro evento di fundraising, che è andato bene. Ci sono stati molti contatti e molte donazioni. Bene, basta, sbaracchiamo tutto e torniamo a casa.

Eh, no! Fermi tutti.

Non è che abbiamo raggiunto tutti i nostri obiettivi, finito l’evento! Bisogna già cominciare a costruire il successivo. E quindi capisci bene che è fondamentale mettere delle buone basi da subito. Innanzitutto, se già sai la data, puoi comunicarla in diretta ai partecipanti. E poi tutti questi dati dei partecipanti, che inserirai meticolosamente nel CRM di cui abbiamo parlato prima, vanno usati finché il ricordo dell’esperienza che hanno vissuto è ancora vivo. Potrebbe essere un bellissimo pensiero mandare a tutti un’email di ringraziamento per aver partecipato, con il link a un questionario di soddisfazione e a un form in cui inserire eventuali suggerimenti.

Il database di contatti, poi, andrà curato e conservato accuratamente. Potrai segmentarlo per tipologia, per inviare comunicazioni mirate sulla base degli interessi dei donatori. Potrai inviare email personalizzate (non tremare, esistono strumenti automatici per farlo!) con gli auguri di compleanno. O potrai ricordare a tutti, alla scadenza della tessera associativa, che è ora di rinnovarla.

Insomma, le possibilità sono infinite. Basta cominciare!

Se fai parte di un ente no profit, che ne pensi di queste attività?

Le svolgi già? Ti sono stati utili questi spunti?

L'Autore

Antonella Colombo

Creativa, visionaria e incosciente! Mi occupo di comunicazione soprattutto visiva ma anche di strategia e project management. La mia formazione in pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera mi ha lasciato competenze artistiche, l'amore per l'arte e le prime nozioni digitali. Mi ispiro da sempre a Sofonisba Anguissola, pittrice del Cinquecento.

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