Sponsorizzare non è come fare pubblicità: ecco perché

Le pubblicità come sono state concepite negli anni Ottanta e negli anni Novanta oggi hanno molto meno senso di esistere. Il comportamento di acquisto dei consumatori, infatti, si è evoluto in virtù di una transizione da un modello push verso un modello pull.

Di conseguenza i marchi trovano più conveniente ricorrere alle sponsorizzazioni, che spesso sono associate allo storytelling e, soprattutto, non sono intrusive, a differenza di quel che avviene per la pubblicità.

Intrusione e inclusione

Proprio quello dell’intrusione è un aspetto da non sottovalutare: le sponsorizzazioni devono la propria efficacia al fatto che non si intromettono e non disturbano, ma sono incluse negli eventi o nei contenuti fruiti.

Si pensi al classico esempio di un film in tv: un conto è se una commedia viene interrotta da uno spot pubblicitario; un conto è se all’interno della stessa compare un marchio, che diventa parte della storia che viene raccontata. Le sponsorizzazioni fanno in modo che i marchi possano comparire nelle storie proposte.

Storie che possono avere declinazioni differenti: un film, appunto, ma anche un evento sportivo che si traduce in una sfida.

Le sponsorizzazioni sportive

Le sponsorship sportive mettono a disposizione dei marchi delle storie che possono essere raccontate, ma anche dei personaggi attraenti, dei volti popolari. Nella messa a punto di uno storytelling, dunque, la scelta di celebrità del mondo dello sport ha un valore chiaro, specialmente se si tratta di personaggi associati a imprese vincenti.

Per catturare l’attenzione del grande pubblico ci si serve di immagini e video che permettono di raccontare gli eventi sportivi di maggior prestigio con uno sguardo ravvicinato. I dipartimenti marketing ne sono consapevoli, ovviamente.

La pubblicità è il passato

Sempre di più le aziende stanno mettendo da parte la pubblicità tradizionale, anche perché ci si è accorti che nel corso del tempo i consumatori hanno maturato dei meccanismi di difesa molto solidi, e quasi respingenti, rispetto a un battage pubblicitario che coinvolge qualsiasi mezzo di comunicazione e che ha raggiungo un livello di invadenza eccessivo.

Perché limitarsi a infilarsi tra gli interstizi di una trasmissione televisiva quando si può farne parte direttamente e riuscire a coinvolgere il pubblico in modo più diretta?

Lo spot pubblicitario dà fastidio (com’è che si diceva? Non si interrompe un’emozione) e difficilmente interessa chi sta fruendo di un certo contenuto. È, appunto, un esempio di quella modalità push che ormai dovrebbe essere accantonata.

Non bisogna più “spingere”

In sostanza una pubblicità spinge in direzione del potenziale consumatore un prodotto o un servizio che lui in realtà non ha richiesto, e che magari non ha niente a che vedere con quello che fa o con ciò che gli interessa.

Una sponsorizzazione, invece, non viene avvertita come un’intrusione. Per menzionare un esempio forse banale ma chiaro, c’è differenza tra lo spot di un marchio di auto che interrompe una finale di Champions’ League e una maglia di una squadra di calcio sponsorizzata con quello stesso marchio.

Il contenuto veicolato è lo stesso, ma l’effetto è diverso.

L'Autore

Antonella Colombo

Creativa, visionaria e incosciente! Mi occupo di comunicazione soprattutto visiva ma anche di strategia e project management. La mia formazione in pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera mi ha lasciato competenze artistiche, l'amore per l'arte e le prime nozioni digitali. Mi ispiro da sempre a Sofonisba Anguissola, pittrice del Cinquecento.

L’edizione originale dell’Arte del colore

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